Niallen, l'angelo perduto _ Storia narrata dal suo migliore e unico amico, Irusakiran_ Di notte, l'arcobaleno e la distruzione.
Niallen-kyala, by Vale
Così fuggì l’arcobaleno, portando con sé i colori del mondo.
***
Era notte, e nessuno ti avrebbe visto, creatura spaurita e distrutta.
Nessuno t’avrebbe visto, perché la tua luce si stava estinguendo pian piano,
tacendosi per partecipare al tuo dolore, annullandosi, lasciando dietro sé solo
il vuoto: questo ti circondava, una luminescenza pallida e inferma, invisibile,
candela morente destinata al buio. Forse in te albergavi ancora una speranza,
non posso dirlo, amico mio, ma il tuo aspetto era di chi si è già arreso.
Né la luna né le stelle mostravano il viso, celandosi dietro una
cortina di nubi nere come l’abisso, come i tuoi occhi, voltandoti le spalle,
scure al tuo cospetto. Il cielo sopra di te sembrava pronto a crollarti
addosso, a schiacciarti, lo sentivi intorno a te, sul collo, sulle mani,
soffocante e freddo.
Non voluto, reietto, ti spegnevi con grazia –in vita ma senza luce,
qualcosa di crudele, assurdo, mostruoso: temevi te stesso e il tuo furore,
temevi il gelo della tua solitudine, solitudine autoimposta, punizione infinita
per una colpa che non ti apparteneva. Abbandonato, ridevi dolcemente, e la tua
voce sapeva di morte, era il lamento straziato di una terra perduta; non mi hai
cercato, angelo mio, angelo buono, e di questo mi rammarico: non c’era altro
per te che non fosse lo strazio che ti accompagnava, e non avevi spazio per me,
credo. Eri tradito.
A cosa pensavi, guardando il pallore delle tue braccia tremanti,
l’argento riflesso su quella pelle che pareva una colata di metallo fuso?
Ancora, ridevi, disgustato dalla tua infinita debolezza, dall’egoismo in cui ti
permettevi di affondare, giù, giù, sempre più giù, fino a toccare un fondo che
non esisteva.
Per amore, hai condannato un mondo.
È terribile, vero, angelo mio? Raccapricciante come in te non ci fosse
orrore per quel pensiero, atroce come non fosse che l’unica tua certezza. La
tua vita altro non è stata che un insieme di lucide bolle di sapone: fragili e
variopinte, eteree, bellissime, riflettevano i colori di un arcobaleno che tu
stesso generavi, e volavano, volavano… Tu le seguivi –ci seguivi,
amorevolmente. E quando anche l’ultima di quelle tue bolle di pensiero è
scoppiata… a quel punto hai perso tutto. Ti sei perso.
Che cosa cercavi, mio caro amico? Perché ancora scrutavi il cielo,
cercando risposte assenti, risposte che solo tu puoi dare, risposte che perdono
significato non appena abbandonano le tue labbra dischiuse e tremule? Perché,
pur nella resa, non ti arrendi?
La pioggia che iniziò a cadere non ti infastidiva, e, d’altronde, non
l’aveva mai fatto. Tingeva il tuo mondo di pallido grigio, carezzandoti piano,
cullandoti nella tua tristezza –la tua Terra, tua figlia, piangeva per te, lo
sapevi. Le piccole gocce d’acqua tiepida ti sussurravano all’orecchio
terrificanti segreti, che, temo, non rivelerai mai, ma tu non sembravi
ascoltarle: guardavi le tue mani e tacevi.
Erano macchiate di sangue, quelle tue mani.
Forse la pioggia l’avrebbe lavato via. Forse era per questo che
l’amavi. Forse ti dava l’illusione di essere più pulito. Più puro.
La tua luce smorzata era riflessa un milione di volte nell’aria umida,
eppure non c’era arcobaleno, era troppo buio, c’era troppo odio in te. Odiavi,
tanto. Amavi, tanto. Non ti restava altro, in fondo, potevi soltanto vivere
nella consapevolezza di essere inutile, di aver fallito, di non essere
adeguato, di non aver fatto abbastanza. La resa era ancora più amara se
giungeva dall’essere più potente dell’intero universo, il più buono, il più
dolce.
La tua resa, più di ogni altra cosa, mi spaventava: aveva l’acre
sapore della morte. Volevi salvare il mondo che hai creato, invece adesso
saresti stato la causa della sua distruzione.
Ti sembrava giusto, vero? Era ciò che meritava, dopo averti tradito
così, dopo aver reso vano ogni tuo sforzo, dopo che si era preso fino
all’ultima stilla della tua luce. Davvero non ho la forza di contraddirti né
biasimarti, perdonami, so che dovrei.
Dunque trema, O mondo, perché il tuo più grande protettore ha decretato
la tua fine!
Che cosa ne sarà di te, angelo buono, quando avrai portato a
compimento la tua vendetta? Troverai finalmente la pace? Io te lo auguro, te lo
auguro di tutto cuore, anche se certo non sarò lì per vederlo.
Le gocce di pioggia sul tuo volto stanco sembravano lacrime, o così mi
piaceva pensare. Non provavi rimorso, solo sollievo, e ancora sorridevi,
seguendo la danza dell’acqua piovana con quei tuoi occhi color dell’universo.
Mi chiedevo quando sarebbe giunta l’ora in cui l’universo sarebbe imploso,
cancellandosi.
L’avvento dell’alba era vicino, eppure tu non accennavi a muoverti: in
piedi davanti alla spiaggia deserta, le ali pesanti e zuppe abbandonate dietro
di te, fremevi mentre il cielo si schiariva, compensando l’oscurità che stava mangiando
la tua luce, rosicchiandola con la tenacia di un anziano roditore. Una volta,
ti piacevano i topolini –lasciavi che camminassero sui tuoi palmi, zampettando
qua e là, curavi i loro nidi. Ora nulla più ti smuove, nulla ti tocca, è così?
D’un tratto, ti vidi sollevare le braccia di scatto, come ad arrestare
la venuta del sole, impresa impossibile perfino per te. Invece fu un arcobaleno
a seguire il tuo gesto, quasi nascendo dalle tue mani, quando invece era tanto
lontano quanto i giorni felici che ti eri da tempo lasciati alle spalle. La tua
dolce, folle risata riempì l’aria, scampanellando, eri contento di bagnarti in
quel mare di colori decisi e sgargianti, contento di lasciare che ti
attraversassero con la forza e la crudezza di dardi affilati scagliati
dall’etere.
Erano i tuoi sentimenti a volare via a cavallo dei raggi del sole
nascente, o forse ero io che m’ingannavo, che m’illudevo di poter seguire il
filo contorto dei tuoi pensieri. Eppure il tremore che ti scuoteva con violenza
testimoniava la tua enorme sofferenza, e il modo in cui sembravi voler
rincorrere l’iride tradiva la tua nostalgia. Sarei stato in grado di aiutarti,
angelo mio? Rimpiango di non aver tentato…
Perdonami. Perdonami, te ne prego.
***
Così fuggì l’arcobaleno, portando con sé la tua dolce anima smarrita.
-Vale